"... nessuno osa più arrischiare la propria persona e tutti invece si mascherano da uomini colti, da scienziati, da poeti, da politici. Se si toccano tali maschere, credendo che si tratti di cose serie e non soltanto di una farsa - dato che ttutti quanti ostentano serietà - si hanno improvvisamente tra le mani soltanto cenci e toppe variopinte." [Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita]
domenica 28 aprile 2013
mercoledì 4 luglio 2012
IL CAMMINO DEGLI INFERMIby Arminio |
METTO
QUI UN PEZZO USCITO SU IL MANIFESTO DI OGGI. stasera siamo a lacedonia,
parlamenti sull'iribus e poi cena di sostegno al giornale.
saluti
a tutti
arminio
Prima
si camminava, adesso si telefona o si vaga nella rete. Nella civiltà contadina
per vivere bisognava camminare molte ore al giorno. Al mio paese il fazzoletto
di terra, che poi era un fazzoletto di pietre, poteva distare anche dieci
chilometri. E in un giorno se ne facevano venti, insieme al mulo e alla
zappa.
L’Italia
negli ultimi anni si è letteralmente fermata. Chi non è fermo davanti alla
televisione, è fermo davanti al computer o è dentro un’automobile. Si vedono sul
ciglio delle strade solo gli stranieri. Qualche giorno fa ho incontrato una
badante che ogni giorno fa cinque chilometri a piedi per spostarsi dal letto
dove dorme al letto dove accudisce un’anziana.
Pure
io cammino poco ultimamente. Potrei accampare la scusa di una lesione al
menisco, ma il motivo vero è che al mio paese non c’è più nessun motivo per
camminare. Non ho un fazzoletto di terra da raggiungere, non c’è più nessuno con
cui passeggiare. Quando esco in piazza trovo i miliziani del rancore. Qualche
spirito più lieve ha ormai da tempo rinunciato a uscire. I ragazzi non amano le
vasche, stazionano davanti al bar e si spostano solo per approdare davanti alla
sala giochi. I ragazzi non passeggerebbero mai con un cinquantenne.
Per
camminare non mi resta che prendere la macchina fotografica e farmi un giro
lontano dalla piazza, nel museo delle porte chiuse che è diventato il mio paese.
Non sono camminate che fanno bene. Quando torno a casa mi sento peggio di prima.
E mi metto davanti al computer a scrivere. Scrivo seduto sul divano, col
computer sulle gambe. È una postura che mi consente di rimanere davanti allo
schermo anche per sei ore, ma è una postura micidiale. Fra poco girare il collo
o piegare la schiena saranno operazioni complicate.
Nei
miei testi continuo a fare l’elogio dell’andare fuori, però anche nei miei giri
paesologici di fatto passo molto tempo in macchina. Faccio camminate brevi,
spesso mi prende lo sconforto e mi rimetto in moto in cerca di un altro
paese.
Insomma,
quando si parla della penuria di esperienza, bisogna ricordare che sta
diventando impossibile proprio quella fondamentale, quella del camminare.
Ultimamente
si vedono dei camminatori infelici, gente che ha avuto un infarto o teme di
averlo. E allora avanti, avanti con la cura coatta del corpo, avanti col
fregarsene di quello che accade intorno a noi. L’importante è stare in forma,
anche se poi non si sa bene che farsene di questa forma. Al massimo si può
telefonare o scrivere al computer.
Io
credo che il primo gesto per ridare spazio al camminare sia quello di chiedere
le dimissioni del capitalismo burocratico. Ci sono troppi uffici, troppe
scrivanie. Le persone hanno la testa allagata di parole. E quando stai con la
testa allagata di parole camminare più che salutare è doloroso. Dovresti
guardare il mondo e sei fermo nella palude delle tue ansie, delle tue paure,
delle tue recriminazioni. Vorresti camminare in leggerezza, soffiare via ogni
peso e invece sei addobbato come un albero di natale e continuano ad arrivarti
pesi da ogni parte.
Adesso
il computer ce lo portiamo in tasca. Per aprire la posta elettronica non c’è
bisogno di tornare a casa. Basta sedersi e vedere che dicono di noi gli altri
infermi come noi.
Dal
nomadismo al divano è passato molto tempo, lo stesso che divide l’età della
pietra da quella della piastrella. È arrivato il momento di rimettersi in
cammino, ma senza aloni misticheggianti. Camminare per guardare, camminare
perché percepire è più importante che giudicare, guardare quello che c’è
piuttosto che pensare il mondo per come ce lo hanno descritto altri. È tempo di
uscire, di sciamare nell’esterno, per vedere come ogni giorno qualcosa si disfa
e qualcosa si forma. Non bisogna camminare per allungarsi un poco la vita, ma
per renderla più intesa. Uscire a vedere, girare dietro e intorno alle cose,
attraversarle, collezionare dettagli, misurare la realtà con la pianta dei
piedi. Il mondo è colossale, non può essere richiuso nella baracca del nostro
io. Abbiate cura di andare in giro. Non rimanete fermi come uno straccio sotto
il ferro da stiro.
martedì 26 giugno 2012
La
carezza del Larice
Vedere con il cuore?
Avviene solo con il tatto,
lo sanno bene i ciechi.
L’occhio biologico, digitale
Cattura un fiore, un panorama
O un lago azzurro
Fatto sorbetto
Di neve tenace
Desiderosa di esserci,
ma se vuoi cattuare al cuore
tutto il bosco, abbi il coraggio
di accarezzare un larice,
la seta verde dei suoi aghi.
[filippo_ferraro_26_06_2012]
lunedì 25 giugno 2012
l posto il favore le mani sui
coglioni
accompagnare con la macchina i figli a scuola leggere il giornale sportivo sul frigo del bar gettare le carte per terra organizzare con cura la cresima dei figli fare e ricevere regali orrendi andare a messa senza crederci dimenticare i morti votare gli imbroglioni uscire alle feste patronali e le sere di agosto parlare male di chi fa qualcosa di buono e così via furiosamente lontani dalla dignità dalla poesia.
*
p.s.
questo
mio testo è uscito qualche giorno fa sulla bacheca di roberto saviano ottenendo
2273 “mi piace”, 797 condivisioni, 141 commenti…..
***
sono
appena tornato dalla lucania, dove ho partecipato all’incontro con il dalai
lama. domani 26 giugno giornata paesologica a cava dei tirreni, con proiezione
di terramossa, ancora proiezione di terramossa il 27 a guardia lombardi. il 28
comincia la scuola di paesologia ad auletta—
ieri
sera bellissima accoglienza a locorotondo….
|
sabato 23 giugno 2012
l’epoca squarciataby Arminio |
domani
sera sono a locorotondo a parlare di terracarne, ore 22.30
lunedi sono a sant'arcangelo in lucania, partecipo a un incontro con il dalai lama.
martedi sono a cava dei tirreni, passegiata paesologica, proiezione di terramossa e parlamenti sulla paesologia.
mercoledì a guardia lombardi per un dibattito organizzato da sel, partendo dalla proiezione di terramossa.
giovedì ad auletta inizia la scuola di paesologia.
....
ci sono stati lunghi anni in cui me ne stavo a casa a scrivere e a leggere, e non c'era neppure facebook, non c'era il telefonino e la mail....erano gli anni in cui parlavo per posta con bufalino, zanzotto, pontiggia, sembra che siano passati cento anni....
bisogna raccontarla questa epoca squarciata senza portarle il broncio.
lunedi sono a sant'arcangelo in lucania, partecipo a un incontro con il dalai lama.
martedi sono a cava dei tirreni, passegiata paesologica, proiezione di terramossa e parlamenti sulla paesologia.
mercoledì a guardia lombardi per un dibattito organizzato da sel, partendo dalla proiezione di terramossa.
giovedì ad auletta inizia la scuola di paesologia.
....
ci sono stati lunghi anni in cui me ne stavo a casa a scrivere e a leggere, e non c'era neppure facebook, non c'era il telefonino e la mail....erano gli anni in cui parlavo per posta con bufalino, zanzotto, pontiggia, sembra che siano passati cento anni....
bisogna raccontarla questa epoca squarciata senza portarle il broncio.
giovedì 21 giugno 2012
Ecco la Vision interessante di un poeta dell'Irpinia Orientale: |
nel sogno di un’altra politica by Arminio |
metto
qui un editoriale uscito oggi su il manifesto
Si parla della crisi, senza il coraggio di
dire cos’è in crisi. I partiti vogliono uscire dalla crisi con la crescita.
Sembra una cosa ovvia e invece è una scelta molto complicata. Bisogna crescere
per mantenere un certo tenore di vita. I governi ragionano come se fossero
individui. La politica si sta riducendo sempre più alla manutenzione
dell’egoismo. Ho molti amici di sinistra a cui parlare della necessità di
inumare il capitalismo pare una follia. Quello che una volta era il conflitto di
classe adesso è diventata la guerra delle vanità contrapposte: si preferisce
contestare il vicino di casa, si preferisce parlare male delle persone che
abbiamo intorno, piuttosto che organizzare la lotta ai padroni del mondo. Questi
padroni a volte vanno in disgrazia, vedi Berlusconi, e la sinistra non sa
approfittarne per provare a costruire una democrazia senza padroni.
Il capitalismo è intimamente morto, ma prima di morire ha stordito anche la sinistra. E allora ci troviamo in una stagione con gli occhi chiusi. E l’occidente sta diventano una macchina della decomposizione. Una macchina che mostrando ogni giorno i suo effetti ha il potere di far pensare che non c’è spazio per nient’altro. E invece bisogna dire ogni giorno che la felicità e il capitalismo sono forze antitetiche. I mercati finanziari non contano più dei mercati rionali; un ragazzo che si iscrive all’università dovrebbe prima frequentare una bottega per imparare a fare qualcosa con le mani; ci vorrebbe un reddito di cittadinanza garantito per tutti, ma più alto per chi vive nei paesi; i giovani che ne fanno richiesta dovrebbero poter disporre di un pezzo di terra. Alle prossime elezioni ci vorrebbe un partito che facesse proposte di questo tipo. Un partito che candidi non chi sa parlare, ma chi sa guardare. Un partito che consideri le elezioni e il governo solo un aspetto della sua azione. Un partito che lavori sui concetti, sulle proposte, sulle tecnologie del buon governo, ma che lavori anche per stimolare un pensiero poetico collettivo. È il sogno che si sposa alla ragione. Dove sta scritto che la politica deve essere unicamente estenuante mediazione per comporre interessi diversi? Questo è sicuramente un ferro del mestiere, un ferro insufficiente senza un lavoro radicale proteso a costruire uomini che siano fuori dalla logica sviluppista, dalla visione del mondo come una cava da sfruttare. C’è sempre il rischio di agitare vaghezze e misticismi e narrazioni inconcludenti, ma una politica che non sa correre rischi è completamente inutile e non a caso è tutta sottomessa ai poteri economici.
È ora di rivedere questa storia che il potere corrompe e che uno scrittore dovrebbe stare lontano da ogni forma di potere. Nell’Italia dell’autismo corale non è la passione civile il cuore della faccenda, ma le passioni incivili. Alcuni stanno molte ore al giorno davanti al computer e al telefonino e non si sognerebbero mai di entrare in una sezione di partito: la politica viene fatta con qualche mi piace su facebook, c’è un interesse molto superficiale alla vita pubblica. Sicuramente nei prossimi mesi ci sarà più partecipazione, ma senza impeti rivoluzionari non succede niente, non solo nella vita politica, anche in quella personale. Ecco la novità della nostra epoca: l’estremismo e il rigore non sono una scelta tra le tante, sono l’unica scelta possibile. La rivoluzione non è una cosa per conquistare un palazzo. Più semplicemente è il modo migliore di consumare il tempo che passa. Allora o si è rivoluzionari o non si è niente. Non ci sono vie di mezzo, non ci sono indugi tollerabili. Bisogna fare tutto e subito, bisogna cercare l’impossibile e quando lo abbiamo trovato cercarlo ancora. Alle prossime elezioni sarebbe bello se ci fosse un partito che avesse la rivoluzione nel suo nome. E se non c’è, nulla è perduto. Cercatevi qualche amico, qualche luogo dove la rivoluzione si lascia fare comunque. È assurdo davanti a una prospettiva come questa disquisire tra i partiti esistenti e quelli che stanno arrivando. Bisogna immaginare che possa esistere questo ed altro. La politica che c’è ha bisogno di una sola cosa: la politica che non c’è.
Il capitalismo è intimamente morto, ma prima di morire ha stordito anche la sinistra. E allora ci troviamo in una stagione con gli occhi chiusi. E l’occidente sta diventano una macchina della decomposizione. Una macchina che mostrando ogni giorno i suo effetti ha il potere di far pensare che non c’è spazio per nient’altro. E invece bisogna dire ogni giorno che la felicità e il capitalismo sono forze antitetiche. I mercati finanziari non contano più dei mercati rionali; un ragazzo che si iscrive all’università dovrebbe prima frequentare una bottega per imparare a fare qualcosa con le mani; ci vorrebbe un reddito di cittadinanza garantito per tutti, ma più alto per chi vive nei paesi; i giovani che ne fanno richiesta dovrebbero poter disporre di un pezzo di terra. Alle prossime elezioni ci vorrebbe un partito che facesse proposte di questo tipo. Un partito che candidi non chi sa parlare, ma chi sa guardare. Un partito che consideri le elezioni e il governo solo un aspetto della sua azione. Un partito che lavori sui concetti, sulle proposte, sulle tecnologie del buon governo, ma che lavori anche per stimolare un pensiero poetico collettivo. È il sogno che si sposa alla ragione. Dove sta scritto che la politica deve essere unicamente estenuante mediazione per comporre interessi diversi? Questo è sicuramente un ferro del mestiere, un ferro insufficiente senza un lavoro radicale proteso a costruire uomini che siano fuori dalla logica sviluppista, dalla visione del mondo come una cava da sfruttare. C’è sempre il rischio di agitare vaghezze e misticismi e narrazioni inconcludenti, ma una politica che non sa correre rischi è completamente inutile e non a caso è tutta sottomessa ai poteri economici.
È ora di rivedere questa storia che il potere corrompe e che uno scrittore dovrebbe stare lontano da ogni forma di potere. Nell’Italia dell’autismo corale non è la passione civile il cuore della faccenda, ma le passioni incivili. Alcuni stanno molte ore al giorno davanti al computer e al telefonino e non si sognerebbero mai di entrare in una sezione di partito: la politica viene fatta con qualche mi piace su facebook, c’è un interesse molto superficiale alla vita pubblica. Sicuramente nei prossimi mesi ci sarà più partecipazione, ma senza impeti rivoluzionari non succede niente, non solo nella vita politica, anche in quella personale. Ecco la novità della nostra epoca: l’estremismo e il rigore non sono una scelta tra le tante, sono l’unica scelta possibile. La rivoluzione non è una cosa per conquistare un palazzo. Più semplicemente è il modo migliore di consumare il tempo che passa. Allora o si è rivoluzionari o non si è niente. Non ci sono vie di mezzo, non ci sono indugi tollerabili. Bisogna fare tutto e subito, bisogna cercare l’impossibile e quando lo abbiamo trovato cercarlo ancora. Alle prossime elezioni sarebbe bello se ci fosse un partito che avesse la rivoluzione nel suo nome. E se non c’è, nulla è perduto. Cercatevi qualche amico, qualche luogo dove la rivoluzione si lascia fare comunque. È assurdo davanti a una prospettiva come questa disquisire tra i partiti esistenti e quelli che stanno arrivando. Bisogna immaginare che possa esistere questo ed altro. La politica che c’è ha bisogno di una sola cosa: la politica che non c’è.
mercoledì 20 giugno 2012
Alberi
Credo che
non vedrò mai
una poesia adorabile quanto un albero.
una poesia adorabile quanto un albero.
Un albero
la cui bocca affamata sia puntata
contro il seno dolce e crescente della terra;
contro il seno dolce e crescente della terra;
un albero
che guardi a Dio tutto il giorno,
ed elevi le sue braccia fogliari in preghiera;
ed elevi le sue braccia fogliari in preghiera;
un albero
che possa vestire in estate
un nido di pettirossi fra i suoi capelli;
un nido di pettirossi fra i suoi capelli;
sulla cui
superficie la neve venga deposta;
che respiri manifestamente insieme alla pioggia.
che respiri manifestamente insieme alla pioggia.
Le poesie
sono cucite dai pazzi come me,
ma soltanto Dio può creare un albero.
ma soltanto Dio può creare un albero.
[Joyce
Kilmer]
Poesia del 15 Ottobre
dentro di voi non cresce
un filo d’erba.
il mondo non è il vostro macello.
la rivoluzione verrà dai margini,
silenziosa e implacabile,
dobbiamo solo imparare a guardarvi
da finestre più alte
lì dove abita l’infinito,
lì le vostre ruberie
saranno solo un ricordo
che non ricorderà nessuno
svanite
come il colpo di tosse
di una vecchia bronchite.
franco arminio
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